Sul “rispetto”

Qualche riflessione su ciò che è lecito chiedere al prossimo e a se stessi

Anno di pubblicazione: 2000 – © di Francesco Pandolfi Balbi

Ognuno di noi vive la propria realtà, un campo d’influenza più volte identificato dal pensiero moderno come “sfera personale”.

In un’epoca come quella nella quale viviamo, irta di equivoci e di fraintendimenti, è forse opportuno fare una piccola riflessione.

La nostra vita è disseminata di frasi come “se mi vuoi bene, devi…” oppure “ti sei assunto la responsabilità, quindi…” Analizziamo per un attimo i contesti nei quali vengono pronunciate (o sottintese).

Un grande come San Francesco disse che le cose semplici sono le più belle, le più vere; seguiamo il suo suggerimento, spogliamo per un attimo la nostra realtà da tutte le costruzioni e le associazioni con la quale l’abbiamo riempita, torniamo all’origine.

Ognuno di noi, come dicevo, è un essere vivo che, attimo per attimo, opera una serie di scambi con l’ambiente che lo circonda. Possiamo immaginarci come una qualsiasi cellula facente parte di un organismo (la Terra, o l’esistenza intera); una cellula viva e produttiva è quella che interagisce equilibratamente con ciò che la circonda, ma prima ancora è necessario che il suo funzionamento interno sia ottimale.

Si delinea, quindi, la “sfera vitale”, ossia l’insieme degli spazi, delle azioni e delle possibilità di scelta del quale ognuno dispone ed è chiamato a tutelare e ad amministrare al meglio delle proprie possibilità.

Amare significa in primo luogo rispettare, e il rispetto non può essere scisso dall’accettare una realtà diversa dalla propria.

Voglio dire che ognuno di noi ha dei doveri nei confronti delle persone con le quali interagisce, ed essi rientrano tutti nella sfera del rispetto e dell’accettazione. Oltre a questo, l’essere vivente ha il dovere, primario rispetto a tutti gli altri, di tutelare la propria sfera vitale contro le altrui “invasioni”, tutte motivate da una imperfetta visione dei rapporti fra il “me” e “l’altro”.

In definitiva, senza più usare concettualizzazioni di sorta, a me sembra che costringere una qualsiasi persona a fare o a non fare qualcosa adducendo un proprio bisogno o il rispetto per altri, sia il peggiore dei soprusi.

Certo, la nostra cultura ci ha abituato proprio in questa maniera… e qui sta l’importanza del ragionare e del valutare con le propria testa.

L’essere umano, come qualsiasi essere vivente, ha un insieme di diritti personali inderogabili che dev’essere il primo a rispettare e a far rispettare, pena un cattivo funzionamento interno, un disagio generalizzato e, quindi, l’impossibilità di agire e operare in modo ottimale. Non parliamo, poi, delle nevrosi che sorgono sempre più numerose e mutano in vere e proprie aberrazioni che vengono scaricate dove possibile: cioè sempre e comunque sugli esseri più deboli.

Se permettiamo ad altre persone di venire a comandare “a casa nostra” (cioè all’interno della nostra sfera vitale), dopo non lamentiamoci perché le cose non vanno come vorremmo. Assumiamoci la responsabilità delle nostre azioni: una scelta apparentemente non fatta è sempre e comunque una scelta: quella di non agire, e anch’essa porta delle conseguenze. Smettiamola di scaricarle addosso agli altri, diventiamo protagonisti della nostra vita senza rovinare quella di chi abita la nostra stessa “dimensione”!

Essere in equilibrio significa semplicemente fare ciò che si ritiene giusto e avere le stesse forme di rispetto nei confronti di tutti, noi stessi compresi (ricordate il comandamento? “Ama il prossimo tuo COME TE STESSO”).

Come si fa a stabilire cosa sia giusto? Certo non riusciremo mai a individuare una verità che valga per tutti… non esiste. Ma abbiamo il dovere di conoscere la nostra e di rispettarla.

Forse sarebbe utile spogliare la realtà da ogni contingenza, paura o influenza esterna, porsi in armonia con il creato (magari facendo una bella passeggiata in un bosco) e, solamente in questa condizione di distacco da se stessi, riflettere e “sentire” cos’è la vita e qual è il nostro ruolo in essa.

Difficile? Non più di quanto lo sia continuare a vivere così, senza certezze o, peggio, accontentandosi di quelle altrui.

Francesco Pandolfi Balbi
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