Sofferenza: come liberarsene

Molto spesso dipende solo da noi

Anno di pubblicazione: 2000 – © di Francesco Pandolfi Balbi

Preso com’è dal proprio vivere, ognuno di noi si convince ogni giorno di più di essere la persona più sfigata dal pianeta.

Riflettiamo un momento sulla cosa, chiediamoci almeno una volta se questa convinzione corrisponde a verità.

Un giorno lessi un romanzo, parlava del ritorno di Gesù su una Harley Davidson. Passava il tempo ad aiutare uomini e donne, con dolcezza li assisteva nel superamento dei loro “blocchi” psicologici e nell’abbracciare se stessi comprendendo la natura dei propri disagi.

Mi colpì molto il fatto che avesse una protesi a una gamba e che, interrogato sul perché della cosa, rispondesse con una frase semplice e sconvolgente che suonava più o meno così: “Mia cara, se devo vivere da uomo, è naturale che anch’io sopporti la mia dose di sofferenza, che è uguale per tutti. Per alcuni essa si manifesta sul piano fisico, per altri su quello psichico, ma ti assicuro che la giustizia cosmica non potrebbe darne a qualcuno una dose maggiore o minore rispetto agli altri.”

Queste parole mi hanno segnato così profondamente che da quel giorno il loro significato si è radicato in me, forse semplicemente perché le sento vere dentro il cuore.

Ci rifletto spesso, e ogni volta non posso fare a meno di ricordare quanto fosse limitato il mio punto di vista nei giorni in cui facevo parte del popolo degli sfigati a vita. Sapere che la sofferenza è uguale per tutti la lenisce in gran parte, fa sentire molto più vicini ai propri simili e spinge inevitabilmente a riflettere sulla sua natura fino alla fatidica domanda: se è vero che la giustizia cosmica ne da a tutti in ugual misura, e che quindi essa fa parte di un “disegno” consapevole, qual è la sua funzione?

Questo è ciò che mi sono risposto finora: la sofferenza serve a imparare, evolvere, crescere. Mi fa soffrire terribilmente solo se mi oppongo a essa e non voglio mettere in discussione la realtà alla quale sono abituato: quella che, per quanto brutta, mi fa sentire protetto.

Ricordi? “Si sa quel che si lascia ma non si sa quel che si trova” recita la nenia degli sfigati, ma quanto ci costa, questa frase, in termini di libertà e di possibilità di raggiungere nuovi obiettivi?

Non sarebbe forse un atteggiamento più “furbo” quello di abbandonarne il significato terroristico e provare a rischiare un pochino per vedere cosa succede?

Nella mia mente, quando rifletto su queste cose, sorge un’immagine: quella di un grande fiume che scorre placido, con un piccolo essere (me) immerso nell’acqua, aggrappato a una pianta ancorata alla riva, terrorizzato dall’idea di cosa potrebbe accadere se si lasciasse andare e seguisse il flusso della corrente.

Ci penso spesso, a questo, e dal giorno che l’ho fatto la prima volta ho cominciato a sfidare la mia paura e a dare una fiducia sempre maggiore a ciò che “sentivo” più vero.

Il risultato? Non me ne sono mai pentito. Forse è stato perché ho saputo dosare prudenza e coraggio, ma le cose hanno cominciato ad andare sempre meglio, ho vissuto la sofferenza come una cosa naturale e provvidenziale, perché se anche non sapevo come mi avrebbe portato giovamento, quel giovamento poi è arrivato puntualmente e mi ha sempre fatto comprendere quanto meraviglioso sia il mondo nel quale esisto, un mondo che ho scoperto profondamente giusto quando mi sono preso la briga di conoscerlo sul serio superando pigrizia e paure.

“Solo quelli che sono così folli da pensare di cambiare il mondo, lo cambiano davvero” ( A. Einstein).
Facciamolo in piccolo, ma cominciamo quest’opera partendo dalle piccole cose della nostra vita.

E’ sempre inebriante mollare la presa sul cespuglio che ci ancora a riva…
All’inizio si prende anche qualche botta sugli scogli che affiorano dall’acqua, ma poi la corrente s’impadronisce di noi, ci conduce dove l’acqua è più limpida e profonda, ci protegge nel nostro cammino fino al mare della vita.

Francesco Pandolfi Balbi
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