L’universo in un fiore

Eredità di un giorno tranquillo

Sono bastate quattordici ore di sonno per catapultarmi, al risveglio, in una meravigliosa realtà contigua: quella che potremmo vivere ogni giorno se solo ci concedessimo una briciola di ciò che ci spetta.

La stufa del bagno era sempre lei, e lo stesso il sapore dello spazzolino immerso nella soluzione di acqua e amuchina. La casa, come ogni mattina, mi ha accolto illuminando di serenità i primi sguardi del giorno.

E’ stato dopo la doccia; ho notato che la totale assenza di pensieri e il profondo senso di tranquillità, esclusivi dei primi minuti dopo il risveglio, dilagavano.

Ovunque, nella mia mente, regnava il silenzio delle giornate di neve boschive.

Unico suono: lo scorrere placido del fiume delle mie sensazioni.

Non c’è voluto molto a riconoscere la rara magia che desidero da sempre, quella che si presenta, inaspettata, dopo lunghissimi periodi di ricerca. Ho voluto condividerla con l’amica montagna: il Subasio.

Anche lei rispecchiava, nel suo abbraccio solitamente misterioso, il mio stato colmo d’armonia. Quel giorno c’era molto di diverso: la sua natura selvaggia era fortemente mitigata da un’aura d’incanto, tanto che anche le persone erano gioiose, spensierate.

TUTTE!

Sembra un film di fantascienza, lo so, e tutto questo non ha fatto che accrescere la mia perplessità. Ma della solita abitudine a domandarmi, per il momento, nemmeno l’ombra.

Mi sono concesso, come davvero raramente accade, una passeggiata andando a trovare un vecchio amico, uno dei pochi luoghi magici che hanno il potere di farmi riabbracciare me stesso. Ho assaporato insieme a lui il silenzio delle nuvole, senza pensieri, senza parole.

Solo il vento fluttuava verso il destino, regalava indistintamente il tocco fugace del suo passaggio… so che parlava a tutti una lingua uguale e diversa.

Non so quanto sono rimasto lì, in quell’universo nuovo e antico il tempo aveva perso tutto il suo valore tanto da apparire come un elemento alieno. E’ stato quando ho deciso di tornare alla macchina seguendo la via più lunga che è accaduto: ho camminato su una cresta calcarea… ovunque erba, vento e masso bianco; a sinistra era la valle, indistinta nella foschia. Alla base della cresta, proprio dove essa si fonde col dolce declivio degli Stazzi, c’è un manto d’erba smeraldina.

Là ho incontrato il mio primo fiore.

Là s’è dissolto l’inverno della mia anima.

Il vento, in quella conca, taceva. Ho posato lo sguardo su di lui, il fiore, e tutto s’è fermato.

Stranamente, ai lati della scena, un papà si rotolava ridendo sull’erba con la figlioletta, ma anche loro erano lì con me… isolati dal flusso degli eventi.

E lui se ne stava lì: semplice, solitario, sufficiente a se stesso, silenzioso. Un atto di coraggio, il suo, come quello degli altri che ho poi notato tutto intorno: un semplice piede che si posa, una vita buttata.

Eppure non lesinava certo in bellezza, splendeva come un faro nella notte.

Magico e sensuale, gridava il suo richiamo silenzioso aprendosi alla vita senza speranza, senza pretesa, esposto a mille rischi ma fiero del gambo che reggeva i suoi petali sottilmente venati di delicatezza.

E’ strano. Un fiore, simile a miliardi d’altre macchie colorate che sfiorano il mio campo visivo senza che mi degni di percepirle, ha il potere di cambiare la mia vita, di ricondurmi al centro di me stesso.

L’essere umano è infinitamente grande, infinitamente più evoluto di un amico così semplice, ma ha mai il coraggio di aprirsi alla luce lasciandosi semplicemente esistere?

Quei piccoli petali indifesi insegnano molto… mi hanno ricordato chi sono.

Ero lì, gigante in ginocchio nel silenzio surreale e gli chiedevo: “Di cosa hai bisogno per essere così infinitamente bello?”

Ha risposto: “Le carezze del sole, il sussurro del vento, un granello di sabbia, una goccia di rugiada.”

Silenzio.

L’uomo vive nella ricerca e il suo scopo è andare lontano, ma non può farlo senza il potere della semplicità. E’ questo potere che tesse un filo di luce fra lui e Madre Natura, e questo legame occorre sempre ricordare che esiste. Se non riconosceremo i nostri padri, come potremo diffondere la nostra essenza? Se non ci abbandoneremo con fiducia alle premure e alle carezze di una Madre innamorata e sempre prodiga, come potremo pensare di vivere senz’aria, senza luce, senza terra, senz’acqua?

Siamo proprio come lui, l’amico fiore: dateci quattro semplici cose e creeremo un universo intero, piccolo a sufficienza da essere completamente ignorato, ma grande abbastanza da affascinare gli occhi di un uomo richiamandolo alla realtà.

Francesco Pandolfi Balbi
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