Impronte degli Dei

Alla ricerca dell’inizio e della fine

Anno di pubblicazione: 2000 – © di Francesco Pandolfi Balbi

C’è una grande varietà di informazioni e di credenze che aleggiano in piani paralleli a quello dominato dai media. Molto spesso si tratta di elementi non verificabili, partoriti grazie a dosi massicce di fantasia, ma come potremmo dire che le versioni ufficiali dei fatti differiscono davvero, in questo?

Non sta a me affermarlo, posso solo esprimere la mia opinione; ma credo che, a parità di risultati, possiamo trovare in tutte queste dimensioni la stessa quantità di mala fede.

Abituato da sempre a ottenere il miglior risultato con il minimo sforzo, sono giunto alla conclusione che mi conviene assumermi le mie responsabilità e scegliere di volta in volta le cose in cui credere.

Sono cresciuto con questa visuale e, finora, me la sono cavata bene. A volte, però, come nel caso di “Impronte degli Dei”, non so che pesci prendere… posso solo limitarmi ad accantonare le conoscenze raccoltevi in attesa di nuovi elementi che possano confermarle o smentirle.

Vediamo un po’ cos’ha tirato fuori Graham Hancock, l’autore del libro. Sembra fantascienza, ma vi assicuro che se le prove che adduce e descrive nel libro sono vere, molte cose dovranno essere riviste.

Cercherò di essere breve, visto che il “tomo” conduce il lettore in un viaggio intorno al mondo di circa 600 pagine.

L’indagine prende avvio con un’analisi della cartografia del continente antartico, resa possibile dalle odierne tecnologie satellitari che permettono di “osservare” le forme e le caratteristiche delle terre sepolte sotto i ghiacci. Non ricordo bene i passaggi (il libro l’ho letto quasi cinque anni fa), che oltre tutto sembravano assolutamente logici, ma la conclusione della parte preliminare del libro è che Atlantide, sogno inseguito per millenni, si trova esattamente sotto i ghiacci del polo Sud.

Com’è possibile, direte voi?

In base all’analisi di tracce e di strane coincidenze (utilissimo il corpo di un mammut congelato rinvenuto in Russia, il quale aveva ancora nello stomaco un’abbondante quantità di erbe caratteristiche delle zone temperate del pianeta), Hancock illustra una teoria che sta prendendo sempre più piede nei circoli scientifici “alternativi”, quella secondo la quale il moto di rotazione della Terra accumuli ai poli delle forze angolari che, ogni circa 32.000 anni (mi sembra… millennio più, millennio meno), scaricano l’enorme energia accumulata provocando un improvviso, violentissimo slittamento dell’intera crosta terrestre sugli strati più profondi – quelli fluidi perché composti di magma – del pianeta.

Il risultato? Questo, per esempio: un mammut mangia tranquillamente sotto un bel sole splendente. All’improvviso un boato spaventoso avvolge ogni cosa, il suolo slitta via, foreste immense vengono rase al suolo, mareggiate d’inconcepibile portata invadono ogni angolo della terra. Pian piano tutto si calma; miliardi di esseri viventi sono morti in un attimo, qualcuno è sopravvissuto.

Ma la falce nera non ha ancora compiuto la sua opera: adesso i sopravvissuti devono vedersela con l’improvviso mutamento del clima e si trova ad affrontare condizioni pazzesche.

Il nostro mammut non ce la fece: si ritrovò di botto in una terra glaciale e morì congelato in poche ore; Atlantide non ce la fece: continente un tempo fiorente perché situato in area temperata, fini al polo sud e scomparve sotto i ghiacci.

Qualcuno sopravvisse; si attrezzò alla meglio, salì su lunghe barche e si diresse alla volta di un incerto futuro.

Il libro analizza molte cose, una delle quali il fatto che in ogni cultura presente sulla Terra vi sia un mito simile al nostro “diluvio universale”. Se questi fatti sono realmente accaduti, forniscono senz’altro una valida risposta all’interrogativo di cosa possa aver causato questo cataclisma noto in tutto il mondo e talmente travolgente da essere impresso a fuoco nei nostri geni.

Il nostro viaggio si sposta in centro America. Analizza la mitologia e le religioni precolombiane rinvenendovi evidenti analogie, la più forte delle quali riguarda l’aspetto dei loro dei: tutti arrivati all’improvviso dall’ignoto, tutti con i capelli chiari e gli occhi azzurri, tutti benevoli e fantasticamente avanzati.

Gli Atlanti?

Sì, secondo le tracce; sì, secondo la logica delle coincidenze. Peccato che i “Padri” Gesuiti, all’epoca della colonizzazione del nuovo mondo, abbiano distrutto (o imboscato nei meandri del Vaticano?) la bellezza di diecimila papiri contenenti ogni conoscenza su una civiltà antichissima antecedente quelle precolombiane.

Atlantide?

Un’incursione sul lago Titicaca ci mostra come esso, prima dell’innalzamento del suolo, ospitasse in precedenza un porto di mare e come sulle sue sponde siano state rinvenute delle imbarcazioni antichissime e molto più elaborate ed efficienti di quelle appartenenti ai popoli semi-avanzati di quella terra. Le discrepanze sono molte, gli interrogativi rendono la lettura entusiasmante.

Un salto di parecchie migliaia di chilometri e ci ritroviamo in Egitto, dove troviamo gli stessi dei dalla chioma chiara e dagli occhi azzurri venuti senza preavviso dall’ignoto. Ma non finisce qui: in mezzo al deserto esiste una camera sepolta dalla sabbia ospitante le stesse imbarcazioni rinvenute sul lago Titicaca!

Coincidenza? Siamo seri, usiamo la logica e l’intelligenza!

Hancock si scaglia contro gli egittologi evidenziando nelle loro affermazioni una miriade di “bufale”; dimostra, apparentemente senza ombra di dubbio, come anche in questo settore esistano l’egocentrismo e il clientelismo.

Avvalora la propria ipotesi descrivendo una miriade di particolari emergenti dall’analisi di tombe e piramidi, giungendo alla conclusione che queste ultime non sono affatto sepolcri di faraoni e risalgono a un’epoca antecedente di circa 20.000 anni l’età delle dinastie.

Mi dispiace, ma non posso essere più chiaro… i particolari mi sfuggono. Ricordo solamente che la topografia di Giza non è altro che l’immensa ed esatta copia della mappa stellare di un certo settore di cielo come lo si vedeva fra i quaranta e i cinquantamila anni fa.

E la Sfinge… la Sfinge svelerebbe il suo mistero. Sarebbe un leone volto verso casa: la costellazione del Leone, appunto, proprio dov’era in quell’epoca all’equinozio di primavera.

Sotto le sue possenti zampe, molto più antiche di quanto si sia mai pensato, ci sarebbe un’immensa biblioteca di quei tempi.

Il vaso di Pandora, al confronto, sembra quasi essere un pitale.

Mi scuso per eventuali imprecisioni, tutto ciò è frutto della mia memoria.

Francesco Pandolfi Balbi
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