Il sogno, sorgente della nostra Vita
Quando il desiderio fa scherzi barbini
Anno di pubblicazione: 2000 – © di Francesco Pandolfi Balbi
Da piccolo ero un bambino chiuso in se stesso, sognante mille fantasticherie impossibili. Ricordo che, nelle lunghe ore di riposo pomeridiano imposte da mio padre, feci una miriade di progetti su come costruire un Goldrake Ufo Robot col quale portare a spasso Silvia, la bambina della quale ero da sempre innamorato.
Adesso sono un adulto che coltiva delle immagini ed è capace di trasformarle in realtà.
A scuola non studiavo un granché, preferivo rimanere immerso nelle mie letture. Prime fra tutte: i meravigliosi romanzi di Richard Bach. Per chi non lo conoscesse, Richard è una persona appassionata di volo che visse gran parte delle sua vita da girovago, atterrando nel campo di qualche contadino e vendendo giri sul suo aereo. Scrisse numerosi best sellers fra i quali spiccano Il gabbiano Jonathan Livingston e Illusioni, che sono tuttora dei must per gli appassionati della riscoperta di se stessi.
Ricordo che, influenzato da quelle letture, il mio sogno più magico, insieme a quello di costruire Goldrake, fu quello di volare.
Proprio come ogni ragazzo che si rispetti, avevo fatto mille progetti per il mio futuro. Primo fra tutti: il brevetto d’aviatore.
Più avanti negli anni, visto che il brevetto è sempre costato caro, partecipai a una selezione dell’Alitalia per piloti di linea.
Arrivai a buon punto, ma fui buttato fuori il giorno che ci misero tutti intorno a un tavolo per più di due ore senza dirci nulla. Unica presenza: l’occhio di una telecamera.
Ovviamente lo scopo dell’insolito esame era quello di valutare la nostra reazione alla noia che regna sovrana nei lunghi voli transoceanici.
Notarono subito il mio spirito inquieto; così mi rispedirono a casa, bastonato ma felice nell’orgoglio per aver superato i difficili test psicologici e d’intelligenza.
La mia vita corse via, ma il sogno rimaneva, indelebile.
Feci un viaggio in Irlanda. Era la prima volta che volavo, ma non udii lo scampanio d’emozioni che aspettavo. Il volo somigliò quasi all’anestesia che mi avevano fatto quattro anni prima.
Ricordando l’entusiasmo straripante dai libri di Richard, pensai: Ah, volare su un Cessna (piccolo aereo da turismo) dev’essere tutta un’altra cosa. Avevo difeso il mio sogno, potevo continuare a vivere tranquillo.
Giunse il giorno che su un Cessna ci volai davvero, ma le campane continuavano a tacere; l’unica cosa che udii fu il suono del motore, stranamente somigliante a quello di una cabinovia che passa sulle pulegge di uno dei tanti tralicci.
Qualcosa non andava, quella fu una delle peggiori giornate della mia vita. Mi sentii vuoto, senza più certezze, senza più desideri. Avevo perduto la mia fantasia più grande.
Appresi subito una piccola parte della lezione: capii che il mio sogno non poteva essere identico a quello di Richard; la mia mente doveva aver preso qualche abbaglio. Decisi allora di fare a modo mio: recuperai il sogno di volare, gli restituii fiducia, lo personalizzai trasformandolo nella voglia pazza di librarmi nel silenzio con un parapendio.
Prenotai presso una scuola di volo. Mi aspettavo un’atmosfera casual, quella che immaginavo regnasse fra i veterani. Invece trovai tanti saccenti rinchiusi nelle loro tutine costose e sgargianti. Mi dissero che, una volta superato l’iter strampalato del corso, si poteva volare solo dove è permesso: una pugnalata al mio spropositato senso di libertà.
Va be’ – mi dissi – niente è come te lo aspetti. Godiamoci almeno questo primo e unico volo…
Un corno! In coppia con un sapientone, distaccato, asettico, antipatico e sbrigativo fabbricatore di denaro! Trovai ben poca gioia nei suoi occhi, ma tanta fretta d’atterrare per andare a sbrigare i suoi affari.
Il parapendio fu comunque una gran bella esperienza, ma non mi donò certo la meraviglia che avevo sempre sognato, quell’incanto che – anche in questo stesso momento – mi basta chiudere gli occhi per tornare a gustarne ogni colore e profumo.
Era lo sfacelo. Dopo qualche giorno di completo disorientamento analizzai le mie emozioni, ciò che mi ero aspettato e quanto di nuovo avevo in mano: mi resi conto solo allora che esistono dei sogni che non conviene mai tentare di realizzare nella realtà.
Credo che molti abbiano vissuto lo stesso scotto. A volte, vivendo un’esperienza di questo tipo, si decide che non vale più la pena di fantasticare; altre, invece, si rinuncia a realizzare ciò che risplende dentro di noi e attende solo un cenno di fiducia per manifestarsi. Quindi, in altre parole, si rinuncia a vivere davvero, si decide – consapevolmente o no – di accontentarsi della mera sopravvivenza.
Il fatto è che, molto spesso, si vive nel timore che i sogni siano presenti in quantità limitata. Ma la capacità di produrne di nuovi non è altro che la scintilla del pensiero che crea, quello che possiamo e dobbiamo usare per costruire un mondo migliore.
Dobbiamo capire che, se anche riusciremo a realizzare tutti i nostri sogni, ne emergeranno altri ancora più magici e grandiosi. Come qualsiasi altra nostra capacità, la facoltà di creare è come un muscolo: bastano un minimo di considerazione, di fiducia e di allenamento per ottenere risultati sempre migliori.
Insomma, di sogni possiamo fabbricarne quanti ne vogliamo, sono l’unica cosa che nessuno potrà mai toglierci.
Semmai ben altra cosa è riuscire a realizzarli, ma anche qui molto può essere fatto.
Potremmo cominciare col distinguere – previa autoanalisi equilibrata e rispettosa di noi stessi – quali sono le visioni autenticamente nostre e quali, invece, provengono dal nostro prossimo, decidendo poi se confermare a queste ultime la loro validità. Le cose cambierebbero già in questo semplice modo.
Se poi fossimo decisi a vivere sul serio, potremmo tentare di realizzarli.
Come? Non sentendoci più isolati, ma parte di un’immensità eterna. Non sentendoci più abbandonati ma, anzi, figli prediletti ed eternamente protetti, ai quali è stato affidato un compito unico e insostituibile.
In questo senso, il sogno assume più le caratteristiche di un ricordo: quello della straordinaria missione che ognuno di noi, decidendo di nascere, ha scelto di compiere.
Perplesso? Perplessa? Lo comprendo.
A te la scelta: giudicarmi pazzo, oppure iniziare con entusiasmo la ricerca.
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